Ho parafrasato il titolo dell’ultimo commovente libro di Raffaele La Capria “Ai dolci amici addio” (Nottetempo, Roma, 2016) per scrivere un addio a Zaha Hadid, la principessa araba dell’architettura. La conoscevo bene e avevo con lei una qualche forma di complicità, che non aveva a che vedere con le rispettive professioni, anche se il primo incontro avvenne a seguito di un mio articolo per la rivista Modo sul progetto del Peak di Hong Kong, il concorso da lei vinto nel 1983 con disegni di grande potenza. Di lei ne parlarono varie riviste e Valerio Mazzei, titolare della giovane azienda toscana Edra, di cui Massimo Morozzi, mio marito, era art director, s’invaghi del suo divano che aveva nella piccola casa di Londra. Lo voleva produrre. Fui io a telefonarle allo studio di Londra per prendere un appuntamento, grazie alla credenziale dell’articolo che le era piaciuto. Accompagnai Massimo e Valerio a Londra e feci da interprete. Il divano si fece, è il Wave e fu presentato nel 1988 a Milano durante il Salone del Mobile al Rolling Stone con una grande festa, che fece epoca. La folla sciamò verso la mezzanotte. Zaha, che era insonne, mi propose di andare a bere qualcosa. Erano tutti stanchi e poco avvezzi a parlare inglese.

Toccò a me accompagnarla nella notte milanese, in giro per i bar. Finimmo in Piazza Sant’Eustorgio a bere birra e a farci fare i tarocchi… Gli ultimi incontri sono stati a Istanbul al bordo della piscina del Ciragan Palace, davanti al Bosforo, a guardare le navi che passavano lente. E quindi a una cena a casa di Stefano Giovannoni. Eravamo sedute accanto. Lei era molto serena e rilassata. Abbiamo parlato di borsette. Era fiera della sua nuova clutch di Miu Miu. Per fortuna anche a lei piaceva la moda! Con Massimo e con me è sempre stata amica e affettuosa. Il cantante Mika, suo caro amico, alla sua morte improvvisa ha scritto sul Corriere della Sera: “si è spezzata una rosa, una preziosa rosa araba, che ha conosciuto la sua piena fioritura sino alla fine”. E l’ha descritta “come una donna affettuosa e divertente che adorava chiacchierare, scambiare pettegolezzi, uscire a cena in compagnia”. Le sue architetture sono grandiose, affascinano e intimoriscono, proiettando su di lei un’aura di reverenziale timore. Nei suoi oggetti, soprattutto quelli realizzati per Harrods, ho ritrovato la Zaha amica affettuosa e complice, amante della vita, del cibo, delle chiacchiere, della moda (tra i suoi stilisti preferiti Miyake, che sempre indossava, e Romeo Gigli).

Cristina Morozzi

Ho parafrasato il titolo dell’ultimo commovente libro di Raffaele La Capria “Ai dolci amici addio” (Nottetempo, Roma, 2016) per scrivere un addio a Zaha Hadid, la principessa araba dell’architettura. La conoscevo bene e avevo con lei una qualche forma di complicità, che non aveva a che vedere con le rispettive professioni, anche se il primo incontro avvenne a seguito di un mio articolo per la rivista Modo sul progetto del Peak di Hong Kong, il concorso da lei vinto nel 1983 con disegni di grande potenza.
Di lei ne parlarono varie riviste e Valerio Mazzei, titolare della giovane azienda toscana Edra, di cui Massimo Morozzi, mio marito, era art director, s’invaghi del suo divano che aveva nella piccola casa di Londra. Lo voleva produrre. Fui io a telefonarle allo studio di Londra per prendere un appuntamento, grazie alla credenziale dell’articolo che le era piaciuto. Accompagnai Massimo e Valerio a Londra e feci da interprete. Il divano si fece, è il Wave e fu presentato nel 1988 a Milano durante il Salone del Mobile al Rolling Stone con una grande festa, che fece epoca. La folla sciamò verso la mezzanotte. Zaha, che era insonne, mi propose di andare a bere qualcosa. Erano tutti stanchi e poco avvezzi a parlare inglese. Toccò a me accompagnarla nella notte milanese, in giro per i bar. Finimmo in Piazza Sant’Eustorgio a bere birra e a farci fare i tarocchi… Gli ultimi incontri sono stati a Istanbul al bordo della piscina del Ciragan Palace, davanti al Bosforo, a guardare le navi che passavano lente. E quindi a una cena a casa di Stefano Giovannoni. Eravamo sedute accanto. Lei era molto serena e rilassata. Abbiamo parlato di borsette. Era fiera della sua nuova clutch di Miu Miu. Per fortuna anche a lei piaceva la moda! Con Massimo e con me è sempre stata amica e affettuosa. Il cantante Mika, suo caro amico, alla sua morte improvvisa ha scritto sul Corriere della Sera: “si è spezzata una rosa, una preziosa rosa araba, che ha conosciuto la sua piena fioritura sino alla fine”. E l’ha descritta “come una donna affettuosa e divertente che adorava chiacchierare, scambiare pettegolezzi, uscire a cena in compagnia”. Le sue architetture sono grandiose, affascinano e intimoriscono, proiettando su di lei un’aura di reverenziale timore. Nei suoi oggetti, soprattutto quelli realizzati per Harrods, ho ritrovato la Zaha amica affettuosa e complice, amante della vita, del cibo, delle chiacchiere, della moda (tra i suoi stilisti preferiti Miyake, che sempre indossava, e Romeo Gigli).

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The Moodboarders è un occhio spalancato sul mondo del progetto in tutte le sue multiformi declinazioni, capace di cogliere, anche nel quotidiano, lo straordinario. È la misura della temperatura epocale. È l’antenna sensibile capace di captare le tendenze sul nascere, i talenti che sbocciano, le estetiche trascurate. Non saggi, ma appunti veloci per sintonizzarsi sul ritmo del nostro tempo. Abbiamo viaggiato un anno senza fermarci e perché di questo viaggio non si smarrisca il ricordo abbiamo deciso di editare una versione cartacea. Abbiamo eliminato l’episodico, l’effimero e il fugace, cercando di mantenere la varietà degli argomenti e il loro fluido susseguirsi, di preservare la sorpresa delle scoperte, degli eventi colti nel loro manifestarsi, delle creazioni appena germogliate.